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Presupposti teorici

DIMAT coinvolge i bambini a partire dalla terza elementare, poiché, per lavorare secondo le modalità proposte, occorre che l’allievo possieda alcune conoscenze ed alcune competenze di ordine matematico e linguistico che corrispondono agli obiettivi delle prime due classi della Scuola Primaria.

Per illustrare i presupposti teorici alla base della proposta si può partire dall’esame di questo “logo”.

Esso è costituito da un triangolo al cui interno sono situati gli obiettivi. I vertici del triangolo sono “occupati” dall’allievo, dal maestro e dal sapere.

Ognuno dei termini è in relazione dinamica e in continua interazione con gli altri due e non c’è un termine prioritario nella relazione. Ciò rispecchia la concezione dell’apprendimento cui si fa qui riferimento e si oppone, da un lato, alla concezione tradizionale dell’apprendimento e, dall’altro, alle “metodologie alternative” diffuse negli anni ’60 e 70. Queste due concezioni possono essere rappresentate come segue:

Nell’insegnamento tradizionale, l’allievo non ha un rapporto diretto con il sapere, che gli viene “trasmesso” dall’insegnante. Nel caso invece dell’insegnamento “alternativo” sapere e allievo sono in diretta relazione e l’insegnante svolge il ruolo di osservatore, lasciando eccessiva libertà e autonomia all’allievo.

Il ruolo del maestro, all’interno dell’approccio DIMAT è principalmente quello di essere una “risorsa” per l’allievo, creando e organizzando delle situazioni che mettano il bambino nella condizione di essere attivo costruttore delle proprie conoscenze e gli permettano di “imparare ad imparare”.

In secondo luogo il maestro è osservatore delle situazioni didattiche proposte agli allievi. L’insegnante osserva e controlla gli esiti dei propri interventi al fine di attuare azioni di regolazione in funzione della costruzione e della generalizzazione delle conoscenze.

In terzo luogo l’insegnante è “mediatore”, cioè, situandosi in una posizione intermedia tra l’allievo e il sapere, attua il processo di “trasposizione didattica”, trasformando il sapere in oggetto di apprendimento.

Si ritiene, infatti, che l’apprendimento non sia il prodotto dell’insegnamento, pertanto il docente non può essere soltanto colui che trasmette le conoscenze. Al tempo stesso però, l’apprendimento non può ridursi unicamente allo sviluppo e l’intervento dell’insegnante è decisivo e ha una sua specificità per l’allievo che vuole apprendere.

È importante sottolineare che la mediazione dell’insegnante può situarsi solo nella “zona prossimale di sviluppo”, vale a dire che, affinché l’apprendimento abbia luogo, l’insegnante deve rendere comprensibile al bambino un contenuto attivando conoscenze che sono già in suo possesso. In altre parole l’insegnante deve proporre nuovi apprendimenti che siano “alla giusta distanza” dalle “vecchie conoscenze”, affinché vi siano le condizioni sufficienti perché il bambino avverta il problema come tale e, al tempo stesso, disponga delle strutture necessarie per la sua risoluzione.

Ciò comporta, da parte del maestro, una conoscenza approfondita di ciascun bambino e delle sue competenze.

Infine il docente ha il compito di coniugare e regolare le esigenze della classe con quelle dei singoli alunni, avendo sempre presente che la classe è un gruppo sociale e non la somma dei singoli allievi, e che, in quanto tale, ha proprie dinamiche, regole precise ed è sottoposta a vincoli istituzionali.

Il quadro teorico di riferimento è costituito, dunque, dalla concezione costruttivista dell’apprendimento, dagli sviluppi recenti della teoria piagetiana e dalle proposte teoriche nell’ambito della didattica della matematica, soprattutto da quelle maturate nell’ambito della Scuola di Ginevra.

Si sottolinea l’importanza di far riferimento al costruttivismo congiuntamente al concetto di “zona prossimale di sviluppo”.

Il costruttivismo considera l’apprendimento come un progressivo superamento di ostacoli e rimanda esplicitamente ai “conflitti cognitivi” che l’allievo vive confrontandosi con i compiti e i problemi da risolvere, mentre il concetto di “zona prossimale di sviluppo” (Vygotskij, trad. it. 1987) rimanda alla riflessione sulle modalità e sulla distanza tra nuovi apprendimenti e conoscenze già possedute.

Tale concetto, inoltre, riunisce dinamicamente sia gli aspetti intra-individuali sia gli scambi sociali in un contesto preciso, inserendo le possibilità di apprendimento dell’allievo in un preciso momento e all’interno delle interazioni con gli altri.